Il messaggio del Santo Padre del 24 gennaio 2025, in occasione della LIX Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali ed in apertura del Giubileo della Comunicazione, offre una guida spirituale e pratica in un'epoca segnata da contraddizioni tecnologiche e sociali.
Come comunicatori, ci interroghiamo sul ruolo che l’Intelligenza Artificiale può svolgere nel contesto delle comunicazioni di massa, nella consapevolezza che essa non è solo uno strumento: è un linguaggio, un luogo di incontro e talvolta, purtroppo, anche un campo di battaglia.
Papa Francesco evidenzia come oggi «pochi centri di potere controllino una massa di dati senza precedenti», generando disinformazione e polarizzazione. Questa osservazione tocca direttamente l’IA, spesso utilizzata per amplificare contenuti divisivi. Ciò nondimeno, non dobbiamo limitarci a denunciarne i rischi, ma piuttosto trasformare la missione del comunicatore in un atto di fede e responsabilità, assumendo il nuovo ruolo di «comunicatori di speranza».
Il Papa sottolinea con forza la necessità di «disarmare la comunicazione», purificandola dall’aggressività: «Troppo spesso oggi la comunicazione non genera speranza, ma paura e disperazione, pregiudizio e rancore, fanatismo e addirittura odio [...] usa la parola come una lama». L’IA, in questo scenario, può essere sia un’arma che un antidoto. E’ un fatto che gli algoritmi dei social media, progettati per massimizzare l’engagement, spesso favoriscono contenuti polarizzanti, riducendo la complessità a slogan. Come nota Francesco: «Non porta mai buoni frutti ridurre la realtà a slogan». Tuttavia, l’IA potrebbe essere ri-orientata per promuovere una comunicazione mite. Strumenti di moderazione automatica, ispirati a criteri etici, potrebbero filtrare discorsi d’odio, mentre sistemi di raccomandazione potrebbero valorizzare storie di solidarietà. Il Papa cita don Tonino Bello: «Tutti i conflitti trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti». L’IA, se progettata con prossimità, potrebbe restituire volto e dignità alle persone, contrastando l’anonimato tossico. Ad esempio, piattaforme che utilizzano IA per connettere migranti con comunità di accoglienza, o per condividere testimonianze di riconciliazione, incarnerebbero la visione di una comunicazione «intessuta di mitezza».
Francesco definisce la speranza come un «progetto comunitario», citando il Giubileo come invito a «camminare insieme». Oggi, però, l’IA rischia di frammentare ulteriormente le relazioni: «La dispersione programmata dell’attenzione [...] modifica la nostra percezione della realtà [...] mina le basi del nostro essere comunità». Gli algoritmi che segmentano gli utenti in bolle informative alimentano l’atomizzazione degli interessi. Come comunicatori, possiamo rispondere utilizzando l’IA per tessere ponti. Ad esempio, strumenti di traduzione automatica che superano barriere linguistiche, o piattaforme che mappano iniziative sociali globali, rendendo visibile il bene «nascosto fra le pieghe della cronaca». Il Papa invita a imitare i «cercatori d’oro», setacciando la sabbia per trovare «semi di speranza». L’IA, addestrata per identificare narrative costruttive, potrebbe aiutare i comunicatori a scovare queste «scintille di bene», come le storie di madri che pregano per i figli in guerra o bambini che sorridono tra le macerie.
Un passaggio centrale del messaggio mette in guardia dalle «malattie del protagonismo e dell’autoreferenzialità». L’IA, se ridotta a strumento di autopromozione o manipolazione, tradisce la sua vocazione: «Il buon comunicatore fa sì che chi ascolta [...] possa ritrovare la parte migliore di sé stesso». Chatbot e deepfake, ad esempio, rischiano di sostituire l’autenticità con l’artificio, svuotando la comunicazione di empatia. Francesco ricorda che i cristiani sono chiamati a «riverberare la bellezza dell’amore di Dio» prima ancora di parlarne. Allo stesso modo, l’IA dovrebbe essere al servizio di una testimonianza, non di una performance. Un esempio positivo? Progetti come l’IA utilizzata da organizzazioni cattoliche per analizzare bisogni sociali e indirizzare risorse, o sistemi che aiutano comunità rurali a condividere la loro saggezza. Qui, la tecnologia diventa strumento di ascolto, non un ulteriore supporto al monologo più persuasivo.
Il Papa esorta a «non dimenticare il cuore», cioè la vita interiore. Per un cattolico, ciò implica un discernimento costante sulle tecnologie: «Dare spazio alla fiducia del cuore che, come un fiore esile ma resistente, non soccombe alle intemperie». L’IA solleva dilemmi etici enormi: dalla sorveglianza di massa alla riduzione delle persone a dati. Francesco ricorda che la speranza cristiana è «una virtù performativa, capace di cambiare la vita» (citando l’enciclica Spe salvi del suo predecessore Benedetto XVI). Applicare questo alla tecnologia significa progettare sistemi che rispettino la dignità, promuovano la giustizia e lascino spazio all’imprevedibilità dello Spirito.
Il messaggio si chiude con un’immagine potente: i comunicatori come «pellegrini di speranza». Per chi lavora con l’IA, questo significa abbracciare una tecnologia incarnata, che non fugge dalla complessità umana ma la abbraccia con mitezza. Francesco cita Martin Luther King: «Se posso aiutare qualcuno mentre vado avanti [...] allora la mia vita non sarà stata vissuta invano». Ogni strumento IA dovrebbe essere valutato alla luce di questa domanda: aiuta a sollevare qualcuno? A rallegrare un cuore? A far ardere i cuori, come Gesù con i discepoli di Emmaus?
In un mondo dove l’IA può sia disumanizzare che elevare, il compito del comunicatore è collaborare a un rinascimento digitale, dove la tecnologia sia ancella della speranza. Come scrive il Papa: «Una comunicazione che ci aiuti a riconoscere la dignità di ogni essere umano e a prenderci cura insieme della nostra casa comune». Un messaggio, che assume ancor più incisività in quanto formulato nell’anno del Giubileo, un invito ad attraversare la “Porta” della tecnologia con discernimento, perché l’IA non sia un idolo, ma un ponte verso l’altro.
Non, in definitiva, una condanna della tecnologia, ma un invito a battezzarla, a renderla strumento di comunione. In un’epoca in cui l’IA rischia di diventare il nuovo “vitello d’oro” del potere ed una chiamata a noi comunicatori in ordine a essere profeti di un uso umano, mite e speranzoso di questi strumenti. La speranza è «un rischio che bisogna correre». E in questo rischio, guidati dalla fede, troviamo la nostra vocazione più autentica.